Deus intelligit et non credit
Viaggi nell’Aldilà – Il Purgatorio di San Patrizio
Viaggi nell’Aldilà – Il Purgatorio di San Patrizio

Viaggi nell’Aldilà – Il Purgatorio di San Patrizio

La Chiesa ha raccolto la tradizione ebraica riguardo al Purgatorio. Gli Ebrei credevano infatti, già dal II sec. a.C., che dopo la morte vi fosse un periodo di purificazione. Per questo, in 2 Maccabei 12,43-45 si afferma che Giuda Maccabeo mandò a Gerusalemme duemila dracme d’argento affinché si offrisse un sacrificio ai caduti in battaglia. Ulteriori riferimenti al Purgatorio sono presenti, poi, anche in altri passi biblici. Nell’Apocalisse, ad esempio, si dice che nell’Aldilà nulla d’impuro entrerà (Ap. 21,27), dunque tutti devono accedere sciolti da ogni peccato e per questo devono purificarsi prima. In 1 Corinzi 3,15 San Paolo afferma che ci si potrà salvare, ma come attraverso il fuoco. Inoltre, Gesù dice chiaramente che vi sono peccati che possono venir perdonati dopo la morte (Mt. 12,32). Sin dall’inizio del Cristianesimo, perciò, si credette sempre in questo periodo di purificazione dopo la morte, anche se un‘idea più articolata del Purgatorio si andò formando tra il III e XII secolo, come evoluzione della credenza, attestata sia nella liturgia che nell’epigrafia funeraria, di poter riscattare certi peccati dopo la morte. Le basi teoriche dell’esistenza del Purgatorio furono gettate da Agostino d’Ippona e da Gregorio Magno, che ne prefigurò l’immaginario con la descrizione delle pene. All’evoluzione dell’idea di un luogo del Purgatorio e delle sue rappresentazioni contribuirono decisamente le descrizioni di visioni o di viaggi nell’Aldilà, che avevano già una lunga tradizione nella letteratura pre-cristiana (come ad esempio la discesa di Ulisse e di Enea nell’Ade). Dapprima trascurati per la volontà della Chiesa di sconfiggere il paganesimo, i racconti di esperienze di viaggi oltremondani fiorirono a partire dal VII secolo, soprattutto in ambiente monastico, dove gli elementi popolari potevano essere filtrati dall’elemento cristiano, ed esplosero infine nei secoli XI e XII. Va comunque ricordato che la concezione cattolica del Purgatorio si realizzò in modo completo solo successivamente e per merito di Dante Alighieri il quale, nella sua opera letteraria “La Divina Commedia” (redatta in un periodo posteriore, tra il 1302 ed il 1321), descrisse la triplice ripartizione in cui egli immaginava fosse diviso l’Aldilà: l’Inferno (luogo di pena eterna), il Purgatorio (luogo di pena passeggera) ed il Paradiso (luogo di premio eterno).

Il Purgatorio di San Patrizio.

II primo accenno al Purgatorio di San Patrizio compare nella Vita del Santo, redatta tra il 1180 ed il 1183 da Jocelyn di Furness.

Secondo il suo racconto, a San Patrizio, che non riusciva a convertire gli Irlandesi, comparve Gesù, il quale gli mostrò una cavità tonda ed oscura, forse un pozzo o una grotta, e gli assicurò che chiunque, dopo essersi purificato dai suoi peccati, avesse trascorso un giorno ed una notte al suo interno avrebbe visto le pene che attendevano i malvagi ed il premio che spettava ai giusti.

Il Santo fece allora recintare la cavità con un muro ed una porta, e ordinò di edificare una chiesa nei dintorni (la tradizione colloca l’episodio nel 445). La chiave della porta fu affidata al priore dei canonici posti a servire la chiesa, il futuro San Dabheog, con la disposizione che tutti i penitenti, che avessero affrontato la prova, avrebbero dovuto, poi, scrivere una relazione su quanto visto.

Jocelyn di Furness collocò il luogo del Purgatorio di San Patrizio sopra un monte del Connaught, nella parte occidentale dell’Irlanda.

Il cavaliere Owen (a sinistra) ascolta gli elenchi dei tormenti del purgatorio dal priore (al centro). Da Le voyage du puys sainct Patrix auquel lieu on voit les peines de Purgatoire et aussi les joyes de Paradis di Claude Noury, Lyon 1506.Il successo internazionale del Purgatorio di San Patrizio si deve, però, all’opera di Henry (i codici non dicono di più sul suo nome), monaco dell’abbazia cistercense di Saltrey. Nel Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii (redatto tra il 1190 e il 1210), Henry di Saltrey narra la storia del cistercense Gilberto, il quale fu inviato in Irlanda ai tempi di re Stefano d’Inghilterra (cioè tra il 1135 e il 1154).

Non conoscendo la lingua di quel paese, il monaco scelse come guida il cavaliere Owein, il quale gli raccontò che, dopo una vita di peccato, fu preso dal pentimento e volle scontare  da vivo la pena che temeva di dover pagare dopo la morte. Perciò, si fece introdurre in un luogo misterioso, passando attraverso una porta rigorosamente sorvegliata da monaci e alla quale non si perveniva se non dietro l’approvazione del vescovo della diocesi locale e del priore della chiesa vicina. Sebbene entrambi lo sconsigliassero di intraprendere la prova – se ci si fosse lasciati sedurre, infatti, dalle tentazioni dei demoni, si sarebbe stati condotti direttamente all’Inferno, senza possibilità di ritorno -, di fronte alla sua ostinazione i due finirono tuttavia per acconsentire, imponendogli un periodo preparatorio di digiuno e preghiera nella chiesa vicina e consigliandolo di invocare il nome di Gesù, qualora non si fosse sentito in grado di reggere fino alla conclusione della prova.

Penetrato infine nella grotta, Owein attraversò vari luoghi di punizione. Dovunque vide i castighi cui erano assoggettate le anime secondo un immaginario cristiano ormai consolidato. Anch’egli ricevette la parte che gli spettava, aggredito, tentato, minacciato e deriso dai demoni che somministravano quelle pene e da quelli che lo conducevano nella “visita”, sempre salvato in extremis dall’invocazione del nome divino.

Giunse infine ad un ponte strettissimo, gettato sopra il fiume infernale di fuoco, che tuttavia si allargava man mano che egli procedeva nel cammino. Superatolo, si trovò in un’amena campagna, di fronte ad un altissimo muro che cingeva una splendida città, che altro non era che il Paradiso Terrestre. Varcata la porta, una processione di santi si fece incontro ad Owein e gli riservò una gioiosa accoglienza nella città divina, mostrandogli le meraviglie di quel luogo di beatitudine.

Dopo tale avventura, purgato d’ogni peccato, il cavaliere tornò all’esterno. Trascorsi quindici giorni di preghiera nella chiesa vicina, egli fece ritorno al mondo, ma l’esperienza l’aveva comunque così colpito che Owein si era poi fatto crociato, recandosi in Terrasanta.

Lough Derg, antica mappa. Isola del Purgatorio di S. Patrizio.Henry di Saltrey non indica il luogo in cui si trovava il Purgatorio di San Patrizio. Però, in una nota a margine di un manoscritto datato alla seconda metà del XIII secolo della Topographia Hibernica di Gerardo di Cambria viene indicato che nell’Ulster si trova un lago con un’isola divisa in due parti, la prima, bella e ricca di giardini, con una chiesa, la seconda, orribile e desolata, con numerosi demoni. Con tutta probabilità si fa riferimento al Lough Dergh (Lacus Derg), nel quale vi sono appunto due isole, la più grande delle quali, Saints’ Island, ospita una chiesa, oggi dedicata proprio a San Patrizio, mentre la seconda, Station Island, è il luogo della porta del “Purgatorio”.

La fama del Purgatorio di san Patrizio si propagò rapidamente nella cristianità grazie a Matteo Paris, che nel XII secolo divulgò il racconto di Henry di Saltrey, e alla poetessa Maria di Francia, che tradusse il testo in francese nell’Espurgatoire Saint Patriz. La storia si diffuse attraverso rifacimenti e versioni in volgare in tutto l’occidente. Il Purgatorio di San Patrizio, poi, figurava spesso nei sermoni dei predicatori, circostanza che contribuì in modo straordinario alla sua fama.

Ulteriori esperienze di viaggio nel Purgatorio.

Lough Derg, oggi.Oltre al racconto del cavaliere Owein, interessanti da menzionare sono almeno altri tre resoconti: quelli del cavaliere Ludovico di Sur, del cavaliere William Lisle e, infine, di Antonio di Giovanni Martini.

La testimonianza, relativa al cavaliere Ludovico di Sur, il quale visitò il Purgatorio il 17 settembre 1358, riferisce che, dopo un periodo preparatorio di preghiera e digiuno, Ludovico fu condotto da dodici monaci in una grotta piuttosto piccola. Trascorsa circa mezz’ora, gli apparve un uomo vestito di bianco, che lo esortò ad iniziare il viaggio. Discese alcune scale, il cavaliere si trovò in un’ampia sala, nella quale tre monaci lo redarguirono per la sua temerarietà e gli prospettarono le tentazioni che avrebbe subito ed i tormenti ai quali avrebbe assistito, contro i quali sarebbe bastato segnarsi tre volte e recitare un passo evangelico. Il racconto prosegue con la descrizione dei tormenti infernali, con la variante, rispetto alla narrazione di Owein, che le tentazioni non furono opera di demoni ma di aggraziate giovani.

Il racconto relativo all’esperienza del cavaliere inglese William Lisle, che era stato in Irlanda nel 1394, riferisce che William era stato rinchiuso con un compagno nella caverna di Station Island per un’intera notte. Durante la discesa era stato avvolto da vapori caldi e s’era addormentato d’un sonno pieno di strani sogni. Ciò lo indusse a ritenere che le “visioni” del luogo non fossero altro che illusioni, dovute alla presenza di gas, che avrebbero determinato uno stato di alterazione di coscienza.

In una lettera, spedita dal fiorentino Antonio di Giovanni Martini ad un concittadino, è descritta l’esperienza di Antonio di discesa nel Purgatorio irlandese, avvenuta nel novembre del 1411. Le fasi della preparazione alla prova sono descritte accuratamente: il digiuno di tre giorni a pane ed acqua, la vestizione con una lunga veste bianca, simile ad un sudario, la recita da parte dei monaci dell’ufficio dei morti sopra il pellegrino disteso supino, la processione intorno alla cappella posta accanto all’ingresso della grotta, il “seppellimento” in uno stretto antro, più simile ad un sepolcro che ad una grotta. Sembrerebbe quasi che questo complesso rituale facesse parte di una tecnica consolidata per alterare lo stato di coscienza del pellegrino, il quale, infatti, riferisce di essersi sentito molto debole e di aver visto cose che non può scrivere o dire se non in confessione. Antonio di Giovanni Martini fu estratto dalla grotta in stato d’incoscienza dopo sole cinque ore.

E.A. – V.G.

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